Autore: Angelo Manfredi
Uno sguardo immediato e superficiale al fenomeno sportivo in Italia nei secoli XIX e XX mostra che la realtà ecclesiale è una delle protagoniste della diffusione popolare degli sport moderni. Ma dietro questa prima constatazione è necessario per lo meno affrontare due problemi di tipo storico: anzitutto il significato dello sport nella cultura italiana e più generalmente occidentale in questi due secoli, in secondo luogo il rapporto tra questo, che si può definire “sport moderno” e la comunità cristiana. Lo sport moderno, a differenza delle gare dell’antica Grecia, dei tornei medievali o di altre forme analoghe, si può empiricamente definire come “l’insieme delle attività fisico-motorie che per essere svolte richiedono un livello minimo di abilità o competenza intellettuale, quale si manifesta nella conoscenza e nell’assimilazione delle relative tecniche di gioco; hanno modalità di esecuzione che non dipendono dal volere dei partecipanti e non possono quindi essere modificate a piacere, ma al contrario si inscrivono in un reticolo di regole; hanno il loro scopo in un esito finale di carattere formale: vittoria o sconfitta; sono parte integrante di apposite istituzioni sociali che le hanno inserite nelle loro strutture di produzione e consumo” (Roversi 1998, 305). Già questa definizione apre ad alcune questioni che il cattolicesimo italiano si troverà ad affrontare nel suo approccio allo sport: è moralmente lecito e pedagogicamente utile proporre passatempi che si basano su “vittoria o sconfitta”, ossia sulla competizione? E’ necessario difendere fino in fondo uno sport essenziale e francescanamente alieno dal denaro, oppure ci si deve incrociare con finanziamenti, premi, ricompense? Fino a che punto gruppi e squadre nate in ambito confessionale devono entrare in organizzazioni aconfessionali quando non, più o meno velatamente, anticlericali, e comunque collegate istituzionalmente a quel Regno d’Italia che, almeno dal 1870 al 1929, era vissuto in maniera conflittuale dal mondo cattolico? Ma continuando a confrontarsi con gli approfondimenti storico-sociologici della realtà dello sport moderno, ci si trova ad avere a che fare con altre due questioni: la sua crescente secolarizzazione o de-sacralizzazione, e il suo contatto, diminuito rispetto alle competizioni antiche, ma sempre latente, con la violenza (Roversi 305.307-308).
Sarebbe interessante scrivere la storia, anche ecclesiale, del barbarismo “sport”, della sua irruzione nel vocabolario, ancora legato alla tradizione purista del cattolicesimo italiano, progressivamente sostituendo i termini più nostrani quali “ginnastica” e apparentati, o “diporto”. Un drappello di educatori, per lo più pratici e non teorizzatori, del XIX secolo, accolgono con attenzione quando non con entusiasmo le moderne manifestazioni, allora per lo più di tipo atletico-militare, nelle istituzioni da loro fondate e dirette: si pensi a don Giovanni Bosco che aveva inserito la “ginnastica” nei programmi educativi degli oratori salesiani. Dunque il primo impatto dello sport moderno, forse in quel momento ancora legato a modelli aristocratici o militari, sul cattolicesimo italiano sembra positivo, o per lo meno realistico.
Il momento di svolta va collocato nei primissimi anni del XX secolo: nel 1905 Pio X accoglie in Vaticano una delegazione di sportivi che stavano partecipando al primo convegno delle Società Cattoliche Sportive, nel 1906 nasce la Federazione delle Associazioni Sportive Cattoliche Italiane (FASCI), che in pochi anni raggiunge oltre duecento associazioni, ma anche la fondazione, ad opera di Giuseppe Micheli, dell’associazione “Giovane Montagna” nel 1899, come associazione che promuoveva l’escursionismo ma anche la promozione del territorio montano, bacino elettorale del fondatore, che nel 1909 sarà uno dei primi “cattolici deputati”, in cosciente contrapposizione al Club Alpino Italiano, nato nel 1863 ad opera di Quintino Sella, con chiara matrice liberale e massonica. Per valutare il significato di quel periodo vanno tenuti in considerazione altri due aspetti. Il primo è di tipo sportivo: la diffusione in Italia di sport destinati a diventare popolari, quali il ciclismo (nel 1890 nasce la prima società ciclistica a Milano) e il football (nel 1898 si ha la fondazione della federazione). L’altro fatto è invece l’esplodere di un’ondata anticlericale tra il 1900 e il 1910, sulla scorta del movimento francese che porterà alle leggi transalpine di secolarizzazione, e vedendo, in certo senso, per la prima volta come protagonisti di denunce, campagne di stampa, accuse di immoralità proprio in ambito educativo verso i cattolici i gruppi del socialismo, fino a quel punto spesso reticenti da un punto di vista religioso, insieme peraltro agli anticlericali “storici”. Dunque il movimento cattolico, che in quel momento era sostanzialmente privo di uno guida unitaria quale fu l’Opera dei Congressi, accolse la vera popolarizzazione dello sport in Italia, soprattutto nelle giovani generazioni, dando una struttura associativa e quindi “burocratica”, secondo le linee dello sport moderno. Ma a questo punto si pose il problema: sport confessionale o aconfessionale? Nel 1903 la Federazione Ginnastica Nazionale rifiutava la richiesta di affiliazione di due società cattoliche, di Bologna e Milano, proprio perché infrangevano il principio di “aconfessionalità”. Il successivo irrigidirsi delle posizioni della FGNI condusse nel 1906-1907 alla già citata fondazione, ad opera della Società della Gioventù Cattolica, della FASCI, una vera organizzazione sportiva di stampo confessionale.
Inoltre non mancarono immediate voci di scontento e dissenso proprio sul versante dell’utilità pedagogica dello sport: vescovi locali, come il Magani di Parma, cioè il vescovo della città di Micheli, grande fautore dell’escursionismo e del pedale; il Magani, in una sua pastorale del 1899, vedeva queste forme del movimento giovanile cattolico come cedimenti alla modernità: “… in questi ultimi anni s’aggiunsero società sportive, come le chiamano all’inglese, ciclistiche, alpinistiche, filodrammatiche, musicali e via via di questo passo ora si va sempre innanzi e a gran corsa. Siffatto movimento però è tale che sembra lasciare un ragionevole dubbio se l’accessorio, lungi dal giovare, non abbia invece a nuocere al principale… se la modernità, della quale tanto s’amplifica la importanza e quasi la necessità non abbia a degenerare in mondanità” (corsivi originali). Anche la tematica della competizione destava problemi, ed è significativo che ancora nel 1933 Luigi Civardi, sacerdote pavese (1886-1971) autore di un diffusissimo manuale dell’Azione Cattolica, affermava che lo sport ideale era la ginnastica ritmica, che sviluppava lo “spirito di obbedienza” ed evitava la competizione e la dimensione individuale dello sport.
Come spesso avviene, la realtà con le sue dinamiche finisce per superare le riserve teoriche. Lo sport si diffonde negli oratori e dei circoli giovanili. Si potrebbe dire che questi mondi da una parte si strutturano secondo la burocratizzazione tipica degli sport moderni, e quindi con società sportive, tra cui, ad esempio, la SPAL, ovvero “Società Polispostiva Ars et Labor”, fondata dal salesiano Pietro Acerbis, tutt’ora squadra di calcio cittadina di Ferrara, con una storia di partecipazioni alle serie A e B dei campionato italiano; federazioni, campionati. Dall’altra nel mondo ecclesiale c’è uno spazio tenuto aperto per l’informale, il non competitivo, quasi valvola di sfogo e giustificazione morale e pedagogica dell’esercizio fisico: la montagna dei campeggi e dei “campi-scuola”, con la figura esemplare di Piergiorgio Frassati, la bicicletta come escursione e record di grandi imprese di gruppo, come i percorsi fino a Lourdes. Tra l’altro questo movimento contribuì al tacito cadere dei draconiani decreti d’inizio secolo che vietavano ai sacerdoti l’uso del “velocipede”. Aggiungerei, come fenomeno storico non documentabile ma evidente, che nei cortili degli oratori e delle “parrocchie” il football continuava ad essere vissuto in analogia ai folk games del medioevo e dell’età moderna, dove la distinzione tra pubblico e giocatori cade completamente e dove i limiti di tempo, di ruoli, di uso della forza fisica prescritti dalle regole ufficiali vengono superati dalla spontaneità. Anche questi sono tratti trasgressivi e informali dello sport nel mondo cattolico rispetto alla fenomenologia moderna.
Un secondo momento critico fu affrontato dal movimento sportivo cattolico con l’avvento del fascismo, che, come è noto, puntò a fare dello sport uno degli elementi della propaganda ideologica del regime e a instaurare un vero monopolio educativo. Nel 1927, le leggi fasciste che restringevano la possibilità dell’associazionismo giovanile a favore dell’Opera Nazionale Balilla, dopo aver liquidato lo scoutismo cattolico posero fine anche alla FASCI, anche se negli oratori e nei centri giovanili cattolici lo sport continuava ad essere praticato informalmente. Lo scontro col regime mise in luce un’altra questione che attraversò i dibattiti della comunità cristiana italiana in questo ambito, ossia lo sport femminile. Se padre Agostino Gemelli teorizzava l’utilità dello sport per le ragazze nel 1923, e Armida Barelli inseriva nella Gioventù Femminile di AC dal 1924 al 1928 il movimento “Forza e Grazia” fondato l’anno precedente, non pochi vescovi e sacerdoti intervenivano pubblicamente su fenomeni quali una certa promiscuità, abiti succinti, movimenti “mascolini” che sembravano la degenerazione della femminilità modesta e devota della tradizione, e che però, per certi aspetti, mostravano anche il volto maschilistico, ideologico e moralmente ambiguo del fascismo. Al mondo cattolico dal 1931 al 1944 rimase l’aspetto informale dello sport, pur con qualche tolleranza di associazioni e pratiche di campionati all’interno dell’AC.
Con la fine del regime fascista e la nascita dell’Italia repubblicana riprese in pieno l’associazionismo sportivo cattolico, con il Centro Sportivo Italiano (1944), il Centro Turistico Giovanile (1949), dapprima appartenenti a quell’insieme articolatissimo di realtà che era l’AC di Luigi Gedda, più tardi indipendenti. Ma la scena fu occupata anche da altri movimenti di ispirazione o di legame cattolico: la “Libertas” collegata alla Democrazia Cristiana (1945), l’Unione Sportiva ACLI (1963), le Polisportive Giovanili Salesiane (1967) e altri. La frammentazione, quasi una “decomposizione del mondo cattolico”, si manifesta in anticipo nella realtà sportiva, che da una parte è accolta pienamente nella visione pedagogica di scuole, oratori, associazioni giovanili, dall’altra continua a sollevare problemi di aconfessionalità, competitività, sport femminile. Né mancano le voci critiche, quale ad esempio fu don Lorenzo Milani “Al terz’anno la situazione precipitò. In una memorabile scenata gli arnesi del ping-pong (ricomprati nuovi da alcuni giovani) volarono in fondo al pozzo. Il dado era tratto…” Esperienze pastorali, Firenze (LEF) 1957, 128 (cfr. 127-161)
. Intanto emergono figure di una mitologia dello sport cattolico, il già citato Frassati cui si intitolano centinaia di squadre in tutta Italia, Luigi (detto Gino) Bartali, campione del ciclismo, e altri più recenti come Gaetano Scirea e Giacinto Facchetti. Per certi aspetti anche la figura di Giovanni Paolo II, in Italia come altrove, ha dato origine a una sorta di paradigma dello sport.
Il post-concilio e la contestazione non scalfiscono questa sorta di parete osmotica tra cultura popolare e mondo cattolico che è lo sport, che continua a essere presente nel mondo ecclesiale, con la costituzione dell’ Ufficio pastorale del tempo libero, turismo e sport CEI (1987)
della Conferenza Episcopale*, dibattiti e approfondimenti, ma che continua a creare tensione tra i cattolici italiani, in particolare sulla forma di commercializzazione e spettacolarizzazione di massa assunta ormai pienamente dal fenomeno sportivo e anzi in piena evoluzione, ma capace di raggiungere anche le realtà di base degli oratori, con esempi di compravendita di atleti, contestazioni violente, fanatismo dei genitori. La tensione spinge al continuo recupero della dimensione educativa dello sport e del suo aspetto informale, in qualche modo incarnato del detto, ormai tipico del commento sportivo: “giocare alla viva-il-parroco”.
Fonti e Bibl. essenziale
L. Caimi, Cattolici per l’educazione. Studi su oratori e associazioni giovanili nell’Italia unita, Brescia (La Scuola) 2006; F. Fabrizio, Storia dello sport in Italia. Dalle Società ginnastiche all’associazionismo di massa, Rimini-Firenze (Guaraldi) 1977; St. Pivato, Clericalismo e laicismo nella cultura popolare italiana, Milano (Angeli) 1990; St. Pivato, Movimento cattolico e questione dello sport, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia (1860-1980), I/2, Torino (Marietti) 1981, 142-145; St. Pivato, Sia lodato Bartali. Ideologia, cultura e miti dello sport, Roma (Ediz. Lavoro) 1996; E. Preziosi, Educare il popolo. Azione cattolica e cultura popolare tra ‘800 e ‘900, Roma 2003, 169-176; A. Roversi, Sport, in Enciclopedia delle scienze sociali, 8, Roma (Ist. dell’Enciclopedia Italiana) 1998, 303-311; G. Semeria, Sport cristiano, a cura di St. Pivato, Città del Vaticano (Libreria Ed. Vaticana) 2011; Vivere da campione. Giovanni Paolo II parla allo sport, a cura di A. Albertini, Milano (In dialogo) 2011.